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DIDATTICA E INFORMATICA: PROSPETTIVE E PROBLEMI
di
Alberto Giovanni Biuso Direttore
del Centro
Studi dell'A.N.D.
I parte:
comunicazione e problemi dell’apprendimento
(Febbraio 2003)
Che
cos’è la comunicazione?
Prima ancora e più che animale politico, l’essere
umano è l’animale che ha il linguaggio. La capacità di comunicare va
ben oltre la semplice segnalazione del pericolo o la manifestazione
di una avvenuta soddisfazione. Comunicare vuol dire trasmettere
l’immateriale, l’invisibile pensiero che vive nella mente. Le forme
della comunicazione mutano nel tempo e nello spazio ma si radicano
tutte nella capacità di elaborare segni che stiano al posto delle
cose e segni che indichino altri segni. Il linguaggio umano non è
quindi solo denotativo ma è soprattutto significativo. Una parola
acquista la sua completezza soltanto in un contesto che le dia un
preciso significato. La formalizzazione dei simboli produce
comprensione, scambio e azione in quanto i segni rinviano al gioco
reciproco fra gli enti e le menti. Comunicare è un’attività che si
serve di strumenti fisici in vista di uno scopo immateriale.
Attraverso dei suoni o dei simboli grafici è il pensiero che
transita; una mente individuale entra in contatto diretto con
un’altra mente. A cambiare sono le modalità di questo passaggio, non
la sua natura.
È anche per questo che
è possibile comunicare con individui il cui corpo si è dissolto da
tempo ma i pensieri dei quali sono più vivi che mai. La
scrittura rappresenta uno degli strumenti essenziali di tale
relazione. Non importa il supporto sul quale si imprimono i segni,
conta il loro significato che è immateriale e quindi resistente al
tempo. In qualche modo, è l’intero mondo della scrittura, è tutto il
linguaggio umano a essere di per sé virtuale, se si intende
con questo termine la dimensione non fisica di ciò che gli enunciati
trasmettono materialmente. Il pensiero che si manifesta nell’atto
dello scrivere dipende certamente da tale azione ma la capacità di
pensare precede sia i singoli pensieri che i singoli modi della loro
espressione e produce un mondo che può essere riversato poi su una
molteplicità di supporti dai quali rimane sostanzialmente
indipendente.
L’INTERconnected NETwork è uno strumento assai
potente di comunicazione ma non è altro che il più avanzato degli
strumenti –pietra, papiro, carta…- che rendono possibile quello
scambio infinito fra le menti in cui consiste l’immenso edificio
della socialità e della cultura. Le potenzialità del WEB sono enormi
ma si tratta pur sempre di abilità strumentali. La forma della
comunicazione rimane totalmente dipendente dal suo contenuto. In
questo senso, entusiasmi e timori –nei confronti del nuovo mezzo-
sono entrambi ingiustificati.
Che
cos’è l’intelligenza?
Lo stretto rapporto fra il
mentale, il biologico e l’artificiale, induce a chiederci che cosa
sia l’intelligenza naturale. È questa una domanda che può avere
numerose e diverse risposte. Intelligenza vuol dire
comprensione dell’ambiente in cui si vive e il conseguente migliore
adattamento possibile a esso; significa capacità di intuire e di
sapere affrontare la complessità delle situazioni esistenziali;
comporta l’attitudine a riflettere a fondo prima di prendere delle
decisioni che implichino conseguenze a volte anche irreversibili;
coincide con un atteggiamento equilibrato rispetto alle scelte
etiche che la vita continuamente pone; indica la razionalità in atto
nel calcolo matematico e nella comprensione oggettiva del mondo;
segnala la prontezza nell’imparare contenuti nuovi e via via più
complessi. Howard Gardner ha potuto proporre una teoria delle
intelligenze multiple: linguistica,
musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestetica,
interpersonale, intrapersonale.
Informatica
e problemi dell’apprendimento
Per chi voglia cercare
di cogliere le tendenze e la complessità della comunicazione
contemporanea, il primo compito consiste nel liberarsi sia da ogni
negazione apocalittica sia dall’apologia entusiastica. La fiducia
ingenua e acritica nell’uso dei computer in ambito educativo si
rivela uno dei tanti miti
d’oggi: «i calcolatori non sono una bacchetta magica per
migliorare la scuola. Se vengono usate per aiutare gli studenti a
imparare a memoria, le macchine sono ben poco utili. Consentendo
agli studenti di interagire con ricche risorse intellettuali, tra
cui insegnanti, biblioteche e musei lontani, l’infrastruttura può
però diventare un potente alleato nel settore dell’istruzione». Il
burocratico ottimismo dei ministeri ha riempito le scuole italiane
di personal computer presto obsoleti, il cui utilizzo didattico è
ancora un mistero per la gran parte dei docenti e che si sono quindi
ridotti a uno dei tanti elementi dell’arredo scolastico… Ben altro
sembra, invece, l’utilizzo dei computer e della Rete come strumento
di scambio di informazioni nell’ambito della ricerca, settore nel
quale il WEB è nato e che lo va sempre più trasformando, come scrive
efficacemente Gary Stix, nella «più grande lavagna del mondo». Nella
interazione tra informatica e apprendimento è opportuno distinguere
tra i semplici «chioschi
informativi (testi, antologie di testi, enciclopedie, lezioni)»
dal livello di interattività piuttosto ridotto e i «CBL (Computer-Based Learning),
applicazioni costruite avendo come obiettivo principale l’interattività», da non
confondersi -in ogni caso- con la semplice multimedialità; «il computer
(…) va considerato, a livello, didattico, essenzialmente come uno
strumento e nessuno strumento può sostituire l’insegnante e la sua
opera».
Stelli ha discusso in
modo convincentele forme e
i limiti di una didattica postmoderna, la quale ha come principale
obiettivo la deconcettualizzazione dell’insegnamento e
dell’apprendimento a favore delle esperienze primarie ma ritenute
esclusive dell’umano di tipo senso-motorio, manipolativo,
iconico. Derivano da qui le posizioni e le proposte che vedono nella
multimedialità e ipermedialità una svolta decisiva in ambito sia
didattico che epistemologico. La corporeità è senza dubbio uno degli
elementi caratterizzanti e imprescindibili dell’essere umano come di
qualunque ente che viva in uno spazio-tempo fisico. Non per questo,
tuttavia, è legittima l’identificazione della mente con il
cervello e cioè con il sostrato materiale che la elabora.
Attribuire, poi, all’esperienza senso-motoria un valore
identificante e capace di distinguere l’ente umano dalle macchine
(compresi i computer) può risultare utile ai fini della polemica
contro le ipotesi forti di Intelligenza Artificiale ma comporta
anche l’inevitabile sottovalutazione delle componenti formali,
simboliche, concettuali non solo e non tanto del linguaggio umano ma
anche del posto dell’uomo nel mondo. Sono molto significative,
quindi, le ricadute didattiche di questo riduzionismo: attribuire un
primato epistemologico e formativo a tutto ciò che non è
concetto e pensiero astratto non ha comportato la liberazione dal
dominio dell’artificiale ma esattamente il contrario, l’elevazione
del computer a mito, la sua trasformazione -da strumento didattico
fra gli altri- in macchina primaria, unica ed esclusiva di
apprendimento. La “inevitabile” sostituzione dei libri con apparati
multimediali –preconizzata dai fautori della didattica
deconcettualizzata- è sempre più smentita dai fatti. E tuttavia
mentre simili previsioni si mostrano quanto meno azzardate, la
deconcettualizzazione dell’insegnamento si impone nel modo soft e
indiretto dell’abbassamento dei livelli di apprendimento richiesti a
chi frequenta le scuole. Si rischia di trasformare gli allievi in
macchine stupide, alle quali si chiede di giocare e non di elaborare
astrazioni, in una realtà questa sì disincarnata e trasformata in un
grande videogame che gira su se stesso.
Assai interessante è a questo proposito un saggio di Sergio
Guarente
nel quale l’Autore traccia una sintesi molto chiara dei rapporti tra
filosofia e Intelligenza Artificiale, a partire dalla convinzione
che si tratta di due ambiti fra di loro strettamente collegati.
L’IA, infatti, non è una disciplina ingegneristico-tecnica ma si
fonda su una ben precisa concezione del pensare umano e il suo
sviluppo implica importanti conseguenze sul piano educativo ed
epistemologico. Alcuni dei risultati didattici di questo dibattito
fra i sostenitori e i critici dell’IA sono analizzati da Stelli, che
presenta una sua proposta di ripensamento del modello storico della
filosofia in funzione antistoricistica, convinto che sia un errore
confondere i due modelli (storico e storicistico) per poi negare
legittimità all’insegnamento della storia della filosofia.
Contro le eccessive speranze che molti tecnologi della didattica
ripongono negli strumenti informatici e multimediali, Stelli e
Guarente convengono poi sul fatto che in ogni caso occorra «non
perdere di vista nell’azione didattica le abilità logico-astratte
proprie del pensiero scientifico e storicamente legate
all’alfabetizzazione tipografica».
Un’esigenza che ci trova pienamente concordi.
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